lunedì 21 luglio 2008

Vacanze!

Carissime,
sto partendo per le vacanze :-) Esattamente quel relax di cui ho bisogno per lasciarmi alle spalle quest'incubo di anno e riprendere la nuova stagione con nuove
speranze :-) ed energie.
Continuerò il mio racconto dopo l'11 agosto.
Un abbraccio a tutte!

martedì 15 luglio 2008

Il ricovero - 2° giorno

Del giorno dell' intervento ricordo più che altro l'attesa snervante.
Ero fra le operate del 3° turno, quelle delle 10.30, quindi vidi andar via prima di me diverse pazienti, compresa la mia compagna di stanza.

Mi svegliai con la bocca asciutta e impastata ma non potevo bere nulla
, per fortuna feci dei risciacqui con l'acqua del lavandino che mi aiutarono un po' a ristorarmi.
Avevo ancora l'intestino disturbato dalle perette del giorno prima. Facevo avanti e indietro per il bagno. Ho atteso il più possibile per fare la doccia, nella speranza che smettessero le crisi di diarrea, ma purtroppo dovetti andare in bagno anche dopo, fino a pochi minuti prima di essere portata via.

Feci la doccia verso le 9, assalita da brutti pensieri, tipo: "Se mi tocca di morire sotto i ferri almeno voglio essere pulita".

Quando portartono via la mia compagna di stanza, il cuore cominciò a battermi forte. Un misto di emozione e paura. Telefonai a mia madre, alla ricerca di una parola di incoraggiamento, ma come al solito non trovai quello di cui avevo bisogno.
Invece di incoraggiarmi, di augurarmi in bocca al lupo, di mandarmi un abbraccio, mia madre non ebbe idea migliore che quella di ricordarmi di farmi prescrivere la pillola una volta dimessa.
Mi arrabbiai moltissimo, questa uscita ingrata fu una pugnalata al cuore. Ma come? Io ero lì ad affrontare un'operazione perché desideravo un figlio e mia madre non aveva di meglio da dirmi che di ricordarmi di farmi prescrivere la pillola? L'unica cosa che poteva ancora impedirmi di avere un bambino?
Mi venne da piangere, dalla rabbia, dalla profonda delusione, ma mi trattenni. Le buttai quasi il telefono in faccia e mi sentii sola come poche altre volte nella vita.
Cercai di distrarmi ascoltando un po' di musica ma non ce la feci.
Telefonai al mio compagno nella speranza che almeno lui potesse darmi un po' di amore. Non si sprecò con le parole ma per lo meno fu affettuoso.

Finalmente arrivò l'infermiera con la pre anestesia, e poco dopo un energumeno di barelliere mi aiutò a sistemarmi sul lettino e mi portò via.
Avevo salutato e incoraggiato molte compagne di reparto portate via prima di me, ma nessuna era rimasta per un cenno quando arrivò il mio turno. Erano già andate tutte in sala operatoria e mi ritrovai sola anche in corridoio.
L'energumeno mi spinse all'ascensore e poi per un lungo tragitto appena arrivati al piano. Aveva la delicatezza di un elefante e quando a un certo punto si distrasse per salutare una collega, rischiai di finire contro a dei sacchi di cemento.

Venni portata in una sala dove mi aspettava l'anestesista. Mentre lei preparava tutto, mi accorsi che a fianco a me c'era una mia compagna di reparto. Feci appena in tempo a salutarla, a incoraggiarla e a prenderle la mano, che subito mi venne messa la mascherina e persi i sensi.

Quando mi risvegliai, mi avevano appena riportata al piano del mio reparto e il primo viso che vidi fu quello sorridente ed emozionato del mio compagno. Sentii di amarlo più che mai.
Sullo sfondo mia madre, e mio padre che tutto agitato le urlava "Andiamo via!".
Vidi i miei andarsene. L'ennesima delusione. Ebbi una stretta al cuore e svenni di nuovo.

Mi risvegliai dopo un paio d'ore, nella mia stanza d'ospedale. Mi accorsi di avere il catetere (mi venne tolto qualche ora dopo provocandomi un po' di dolore).Seduto ai piedi del letto il mio compagno.
Lo salutai e gli chiesi subito come mai i miei genitori non c'erano. Mi ricordò che erano subito andati via quand'ero torata dalla sala operatoria. Gli chiesi il perché ma non seppe rispondermi.
Il ricordo di questo gesto mi fece soffrire per tutto il giorno, insieme all'ennesima gaffe che mia madre mi aveva regalato al telefono quella mattina.

Nel pomeriggio venne a trovarmi il chirurgo. Mi disse che l'operazione era riuscita molto bene, che avevano asportato la cisti senza compromettere l'ovaio e che avevano rimosso il setto dell'utero. Mi spiegò che avevano dovuto lasciare un piccolo pezzo di setto a causa delle sue grosse dimensioni. Se ne avessero tolto ancora avrebbero rischiato di bucare l'utero.
Subito mi preoccupai di chiedere se questo potesse causare problemi in un'eventuale gravidanza ma lui mi rispose di no, e che comunque ne avremmo discusso alla visita di controllo da lì a una ventina di giorni.
Non feci in tempo a sentirmi felice. Ero spossata dall'anestesia, dall'operazione, dai dispiaceri, e l'insicurezza non mi abbandonava.

Sul tardi venne a trovarmi anche la mia ginecologa. Ancora mezza rimbambita dall'anestesia le riferii quello che mi aveva detto il chirurgo. Chiesi anche a lei se il pezzo di setto che mi avevano lasciato avrebbe potuto creare problemi in un'eventuale gravidanza ma non fu così rassicurante. Disse: "Vedremo... Ma non si preoccupi, ci sono io".
Ero troppo stanca per qualsiasi cosa, quindi mi preoccupai un po' ma decisi di non pensarci troppo. Volevo solo guarire e rimettermi in forma. Solo dopo avrei pensato a tutto il resto.

In orario di visita venne a trovarmi mia madre. Potei chiedere a lei come mai erano scappati subito quand'ero tornata dalla sala operatoria, ma la spiegazione che mi dette non mi convinse un gran che. Mi disse che papà si era impressionato a vedermi in quello stato ed era voluto venire via.
Ancora oggi mi chiedo perché se ne siano andati così, quasi senza salutarmi e senza starmi vicino.

La sera le infermiere insistettero per farmi alzare e muovere i primi passi, ma i dolori che sentivo erano difficili da sopportare, soprattutto camminando.
Vidi nella loro insistenza la necessità di vedermi muovere per darmi un calcio nel culo il giorno dopo. Volevano dimetterci tutte la mattina successiva.
Per come mi sentivo non riuscivo davvero a immaginare di andarmene via con le mie gambe appena la mattina seguente. Ero convinta che mi avrebbero tenuta lì. Stavo troppo male.

Sul tardi cominciai a sentirmi un po' meglio. Facevo sempre difficoltà a camminare ma piano piano riuscivo a spostarmi.
Sentii qualcosa gocciolarmi sulla mano. Non mi avevano messo il tappo all'ago della flebo.
Molte mie compagne lamentavano dolori alla pancia a causa dell'aria e mi sentii fortunata perché invece io non sentivo quasi nulla.
Riuscimmo a farci dare un pacchettino di biscotti. Morivamo di fame.
La notte con mia grande sorpresa dormii piuttosto bene, sentivo solo un po' di aria spostarsi e premere quando mi giravo nel letto. Ma era solo perché probabilmente ero ancora sotto l'effetto dell'anestesia...

Continua...



martedì 1 luglio 2008

Il ricovero - 1° giorno


Arrivai in Mangiagalli, Reparto Suor Giovanna, alle 10.30.
Dopo quasi un'ora di attesa, inframezzata da qualche chiamata per i documenti di registrazione (carta d'identità, tessera sanitaria), tutto il gruppo delle ricoverate del giorno venne invitato ad entrare, momentaneamente senza accompagnatore, per la comunicazione di regole fondamentali, orari dell'intervento e nomi dei chirurghi.
A me venne fortunatamente assegnato il chirurgo che mi aveva fatto la diagnosi (quello cioè dal quale mi aveva mandato la mia ginecologa) ma non ebbi altrettanta fortuna con l'orario dell'intervento: ore 10.30 circa.
In seguito fummo invitate a prendere le nostre cose e a far entrare gli accompagnatori per la sistemazione.

Mi fu assegnato un letto in stanza con una signora, che apparve subito socievole.
Sul tavolino trovammo subito la terapia preparatoria che ci avrebbe massacrate per tutto il giorno. Per me altre 2 perette e 1 litro d'acqua, al quale andava aggiunto un altro litro, fatto portare da un parente o acquistato al bar, da bere entro le 03.00.

Rimasi vestita nell'illusione di poter gironzolare e uscire con nonchalance per andare al bar, a fumare o dal giornalaio, ma venni subito ripresa dall'infermiera e invitata ad indossare camicia da notte e ciabatte per essere riconosciuta come degente.
A disposizione di tutte c'era una zona di ritrovo con tavolini e sedie, utilizzata anche per i pasti, e mi ritrovai a chiacchierare con le mie compagne di avventura, in attesa di essere chiamate per perette e tutto il resto.
Si creò subito un feeling di gruppo che mi aiutò molto a passare la giornata, così come ad avere più coraggio il giorno dopo.

Le perette ce le fece un'infermiera (che imbarazzo!). A me venne aggiunta una supposta e ad altre la sonda.
Tutto il pomeriggio fu un'interminabile e spossante corsa in bagno che per me durò anche tutta la sera e gran parte della notte, fino a 5 minuti prima di essere portata via in barella verso la sala operatoria.
Ero uno straccio. Completamente svuotata di ogni cosa.

Nonostante le impellenze forzate, passai dunque la giornata a chiacchierare e a fare amicizia. Alle 16 venne a trovarmi il mio compagno, che mi portò il litro d'acqua e restò a tenermi compagnia fino alle 18.
La serata la passai sempre nel salottino, dividendo la crescente tensione con le altre, e bevendo litri di camomilla per calmarmi.
A quasi tutte venne fatta un'iniezione anti coagulante per evitare trombosi durante l'intervento. A me no. Chiesi spiegazioni ma non rimasi soddisfatta dalle vaghe ipotesi dell'infermiera: sosteneva che non andava fatta al di sotto dei 35 anni o senza la presenza di rischi patologici, ma fu fatta persino a una ragazza più giovane di me.
Alla fine mi arresi e andai a letto verso mezzanotte-l'una col dubbio.

Stranamente, a parte qualche corsa in bagno durante la notte, riuscii a dormire abbastanza bene, ma alle 5.00, sia io che la mia compagna di stanza fissavamo il soffitto ad occhi sbarrati, svegliate dai primi inquietanti gemiti di dolore delle donne operate il giorno prima.

Continua...