lunedì 8 settembre 2008

Il ricovero - 3° giorno


La mattina delle dimissioni mi svegliai con un forte dolore, e quando scesi dal letto per andare in bagno, realizzai che mi era quasi impossibile camminare.
Feci uno sforzo immane per trascinarmi in bagno, il quale per fortuna era proprio di fronte alla camera, ma quel breve tragitto questa volta mi sembrò infinito. Mi assalì subito la convinzione che quella mattina non mi avrebbero dimessa.

Anche la mia compagna di stanza era dolorante. Lei però ebbe la furbizia di farsi dare subito l'antidolorifico via flebo. Io tentai di resistere, e in effetti resistetti un paio d'ore, ma poi finii anch'io per supplicare qualcosa per alleviare il dolore.
A me però dettero un antidolorifico via orale, perché mi dissero "Non possiamo metterle la flebo adesso, fra poche ore la mandiamo a casa".
Mi opposi "Ma come mi mandate a casa? Non vedete come sto?". Risposta "Lo deciderà il medico se è in grado di andare a casa oppure no".
E dovetti accontentarmi della pastiglia.

Poco dopo venne un'infermiera che volle a tutti i costi sbattermi giù dal letto e farmi camminare.
Anche con il suo aiuto quasi non riuscivo ad alzarmi. Tra l'altro avevo la camicia da notte completamente imbrattata di sangue, così la pregai di aiutarmi almeno a cambiarmi, ma non volle sentir ragioni: "Se non cammina subito non possiamo dimetterla! Lei non si preoccupi, fa niente se è sporca".
In imbarazzo completo, fui costretta da questa stronza (scusate il termine ma non riesco a trovarne un altro) a sfilare sporca di sangue per il corridoio, con le altre degenti che mi guardavano.
A metà strada chiesi all'infermiera se per pietà potevamo tornare indietro e per fortuna accolse la mia supplica.
Arrivate in stanza, la stronza stava per rimettermi a letto così, tutta insanguinata, così le chiesi se poteva darmi un camice pulito, prendermi un paio di mutande pulite nella valigia e aiutarmi a cambiarmi. Mi avrà anche detto di sì ma lo fece molto seccata. Mi sentii trattata da bestia.

Arrivò finalmente il medico per il controllo e la medicazione. Purtroppo non il chirurgo che mi aveva operata ma un medico qualunque con due infermiere.
Andarono prima dalla mia compagna di stanza, che subito chiese cosa poteva prendere per l'aria che le premeva la pancia e le dava dolore. Mentre la medicavano, il medico le consigliò il carbone vegetale, così io potei evitare la domanda quando venne il mio turno.
Arrivato da me, il medico ordinò a un'infermiera di togliermi i cerotti e lì vidi le stelle.
Delicatezza zero. Tra l'altro, dove mi avevano operato l'ovaia (e tolto la cisti dermoide) c'era un grosso ematoma con alcune escoriazioni, e, sia quando mi tolsero il cerotto che quando mi versarono sopra il disinfettante, urlai come un maiale sgozzato.
In effetti l'infermiera mi chiese scusa ma io intanto soffrii le pene dell'inferno.
Scoprii così di avere 3 buchi: 1 all'altezza dell'ovaio sinistro, 1 all'altezza dell'ovaio destro e 1 nell'ombelico.
Mi venne dunque spontaneo, una volta ripreso l'uso della parola, tolto per alcune decine di secondi dal dolore insopportabile, chiedere che tipo di disinfettante avrei potuto usare per medicarmi a casa ed evitare questo bruciore infernale. Incredibile ma vero il medico mi consigliò l'acqua ossigenata, che solo molti giorni dopo scoprii, grazie alla mia farmacista, che era invece il disinfettante meno adatto per la cicatrizzazione di una ferita chirurgica, nonchè il più doloroso.
Purtroppo io detti ascolto al dottore, d'altra parte di solito di un medico ci si fida no? Anche se, nonostante l'acqua ossigenata, riuscii poi anch'io a guarire bene dopo alcune settimane.

Tornando a quel giorno, dopo la visita del medico, passarono le infermiere a sollecitare il nostro sgombero. Preparare le nostre cose, darci una ripulita e smammare dalla camera per lasciare il posto alle nuove degenti.
Ero disperata. Per niente convinta che ce l'avrei fatta ad andare a casa.
Chiamai il mio compagno, nella speranza che potesse venirmi a prendere lui, ma era al lavoro e avrebbe dovuto prendere il permesso. Uscivo a Mezzogiorno e lui sarebbe comunque arrivato a casa alle 14.30, quindi fui costretta a chiamare i miei genitori.

Nel frattempo preparai la valigia raccogliendo con fatica le mie cose. Stavo così male che pensai di non lavarmi, l'avrei fatto una volta a casa, ma la stessa impietosa infermiera che mi aveva costretta a fare il corridoio insanguinata, mi riprese, obbligandomi a lavarmi il viso, il busto e i denti prima di lasciare la camera.
Il kit da viaggio con spazzolino e dentifricio mi cadde. Tentai di raccoglierlo ma il dolore non me lo permise, così lo lasciai lì per terra. Meglio perdere un kit per i denti che finire stesa sul pavimento senza riuscire a rialzarmi.
Per fortuna ero stata previdente portando un vestito "alla campagnola", di quelli con l'elastico sotto il seno, che cade morbido sul resto del corpo e non stringe affatto la pancia, per cui riuscii a vestirmi comodamente e senza problemi. La mia compagna di stanza invece si era portata i pantaloni, e non solo fece una fatica terribile per infilarli, ma non riuscì ad allacciarli a causa del gonfiore al ventre.
Con fatica uscii dalla stanza portando il peso della valigia. Non era pesantissima, ma comunque mi face sforzare i muscoli addominali, provocandomi un bel dolore.

Attesi i miei genitori in sala relax, e insieme a loro il foglio di dimissioni.
Arrivati i miei, mio padre non perse occasione per farmi vergognare di lui. Brontolava e pensava di fare lo spiritoso. Dette degli incapaci a tutto il personale, prese in giro chiunque, andò di qua e di là agitato come un bambino capriccioso o più precisamente come un povero vecchio esagitato e arteriosclerotico. Tutti lo guardavano con pena e qualche mia compagna di reparto mi lanciò sguardi di compassione.
Provai un imbarazzo e una vergogna ancora più forti di quelli subiti qualche ora prima, costretta a sfilare imbrattata di sangue per il corridoio.

Finalmente la dottoressa che rilasciava le dimissioni chiamò anche me.
Mi diede la terapia e i resoconti dell'operazione, con la descrizione di tutto quello che mi era stato fatto in sala operatoria, ma non i risultati dell'esame istologico. Quelli avrei dovuto richiederli io giù in archivio, a pagamento.
Di certo ne avevo abbastanza per quel giorno e l'unica cosa che volevo era andarmene a casa. Così lasciai perdere l'esame istologico e andai, piano piano, con i miei alla ricerca di un taxi.
Lo trovammo quasi subito. Giusto il tempo di fumare una sigaretta. Il viaggio fu una vera tortura. Purtroppo, a ogni buca, a ogni minimo sbalzo, a ogni frenata, il mio ventre doleva forte, come se un orientale ciccione l'avesse preso per un gong e fosse lì dentro a colpirlo con tutte le sue forze. Trattenni le urla di dolore e, dopo un viaggio che sembrò non finire mai, più simile a una via crucis che a un viaggio, arrivai finalmente a casa.

Continua...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non capisco perché certa gente (parlo dell'infermiera...) scelga di fare una professione che non ama.
Mi dispiace tantissimo che l'operazione e i momenti successivi siano stati una tale tortura per te!
Spero che oramai tutto volga al meglio!

VolevosololaLuna ha detto...

Ciao!
Davvero guarda...
E tu come stai?
Visto che sei qui, sarai la prima a cui lo dico... Ho un ritardo 5 giorni e il test in stick mi dà 2 linee di cui una molto molto chiara.
In pratica molto probabilmente potrei essere incinta ma non c'è ancora la certezza. Ho fatto questo test oggi, quindi dopo corro a informarmi su dove e come fare le beta (esame del sangue x vedere se sono incinta).
Non voglio illudermi, anche perché vorrebbe dire avercela fatta dopo il primo tentativo e nonostante tutto quello che ho passato in questi mesi, ma sono emozionatissima e spero sia vero!!!
Incrocia le dita per me!

Anonimo ha detto...

Ho letto solo oggi la bellissima notizia...
:)
Peccato non averla letta 6 giorni fa!
Qui tutto procede bene, vedrai che il mestiere della mamma è uno dei più belli (ed impegnativi) che ci sono al mondo!
Io mi stra incrocio!
Un bacio!!!